Due modi di vivere il lavoro: adattamento o espressione del sé

Per quanto ogni essere umano sia unico, nella nostra società si possono osservare due grandi modi di percepire il lavoro. Non si tratta di etichette rigide, ma di due polarità utili per comprendersi meglio. In ogni caso sono generalmente due modi di percepire che fanno parte della propria interiorità profonda, che necessitano di accoglienza, ascolto e rispetto.


1. Il lavoro come mezzo per vivere

Questa tipologia di persona tende a considerare il lavoro principalmente come una fonte di sostentamento, stabilità o sicurezza.

Il lavoro è uno strumento che permette di vivere bene, mantenere la propria indipendenza, sostenere una famiglia o realizzare obiettivi concreti al di fuori del lavoro stesso. Queste persone:

  • Si adattano più facilmente a ruoli o ambienti anche non ideali.
  • Trovano senso e gratificazione fuori dal lavoro: relazioni, passioni, tempo libero.
  • Non sentono necessariamente il bisogno di esprimere la propria essenza nel lavoro.
  • Possono essere molto efficienti e pratiche, con un buon equilibrio tra vita e professione.

Quando c'è coerenza con i propri bisogni pratici e un ambiente non tossico, vivono il lavoro senza conflitti interiori.


2. Il lavoro come espressione del sé

Per queste persone, il lavoro non è solo un mezzo per vivere, ma uno spazio in cui essere pienamente sé stesse, dare forma ai propri talenti, valori e visione della vita.

Sentono un bisogno profondo di coerenza tra ciò che fanno e ciò che sono. Queste persone:

  • Faticano ad adattarsi a contesti lavorativi disallineati con la propria interiorità.
  • Vivono forte disagio se sentono di “tradire sé stesse” nel lavoro.
  • Cercano significato, autenticità e crescita anche attraverso la professione.
  • Possono avere una sensibilità acuta ai valori del contesto in cui operano.

Per loro, non c'è vero benessere se il lavoro è solo un dovere: hanno bisogno di fare un lavoro in armonia con in propri talenti. Un lavoro non vale un altro.


Quando il mondo non coincide con l'anima

Le persone del secondo tipo vivono spesso una tensione: la società tende a premiare l’adattabilità, mentre l’anima chiede verità. In alcuni casi, possono:

  • Sentirsi “sbagliate” perché non riescono a “far andare bene le cose”.
  • Procrastinare un cambiamento, oscillando tra colpa e desiderio.
  • Avere bisogno di spazi di ascolto e accompagnamento per:
    • Accettare la fase in cui si trovano,
    • Comprendere le risorse già presenti,
    • Trasformare dall’interno, oppure
    • Fare passi reali verso un cambiamento.

Qual è la chiave?

Non esiste un modello giusto o sbagliato nel modo di vivere il lavoro. Ognuno porta in sé un’impronta unica, una modalità profonda e personale di relazionarsi all’attività lavorativa.
Questi modelli non andrebbero forzati o giudicati, ma riconosciuti e rispettati come espressioni autentiche della propria natura. La vera chiave sta nell'ascoltare chi siamo davvero e creare un dialogo onesto tra ciò che desideriamo e ciò che oggi è possibile, tra realtà concreta e verità interiore. Per chi sente il bisogno di esprimersi attraverso il lavoro, il primo passo è espandere presenza e consapevolezza e lasciare andare quegli ostacoli interiori che limitano la possibilità di muoversi verso nuove possibilità. Non credo nelle facili promesse new age "se vuoi puoi tutto", ma dall'altra il diffuso senso d'impotenza totale è più un limite percettivo che realtà oggettiva. 

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