Per quanto ogni essere umano sia unico, nella nostra società si possono osservare due grandi modi di percepire il lavoro. Non si tratta di etichette rigide, ma di due polarità utili per comprendersi meglio. In ogni caso sono generalmente due modi di percepire che fanno parte della propria interiorità profonda, che necessitano di accoglienza, ascolto e rispetto.
Questa tipologia di persona tende a considerare il lavoro principalmente come una fonte di sostentamento, stabilità o sicurezza.
Il lavoro è uno strumento che permette di vivere bene, mantenere la propria indipendenza, sostenere una famiglia o realizzare obiettivi concreti al di fuori del lavoro stesso. Queste persone:
Quando c'è coerenza con i propri bisogni pratici e un ambiente non tossico, vivono il lavoro senza conflitti interiori.
Per queste persone, il lavoro non è solo un mezzo per vivere, ma uno spazio in cui essere pienamente sé stesse, dare forma ai propri talenti, valori e visione della vita.
Sentono un bisogno profondo di coerenza tra ciò che fanno e ciò che sono. Queste persone:
Per loro, non c'è vero benessere se il lavoro è solo un dovere: hanno bisogno di fare un lavoro in armonia con in propri talenti. Un lavoro non vale un altro.
Le persone del secondo tipo vivono spesso una tensione: la società tende a premiare l’adattabilità, mentre l’anima chiede verità. In alcuni casi, possono:
Non esiste un modello giusto o sbagliato nel modo di vivere il lavoro. Ognuno porta in sé un’impronta unica, una modalità profonda e personale di relazionarsi all’attività lavorativa.
Questi modelli non andrebbero forzati o giudicati, ma riconosciuti e rispettati come espressioni autentiche della propria natura. La vera chiave sta nell'ascoltare chi siamo davvero e creare un dialogo onesto tra ciò che desideriamo e ciò che oggi è possibile, tra realtà concreta e verità interiore. Per chi sente il bisogno di esprimersi attraverso il lavoro, il primo passo è espandere presenza e consapevolezza e lasciare andare quegli ostacoli interiori che limitano la possibilità di muoversi verso nuove possibilità. Non credo nelle facili promesse new age "se vuoi puoi tutto", ma dall'altra il diffuso senso d'impotenza totale è più un limite percettivo che realtà oggettiva.