Fare un lavoro che si ama: una necessità dell’anima
Sempre più persone sentono dentro di sé un’urgenza che va oltre la semplice necessità di guadagnarsi da vivere. È come se qualcosa, da dentro, chiedesse di essere espresso, vissuto, riconosciuto. Non si tratta solo di ambizione o di passione: è una spinta profonda, quasi misteriosa, che ci chiama verso un’attività che ci somigli, che ci permetta di esprimere chi siamo davvero.
Lavorare in un ambito che sentiamo nostro non è un lusso, ma una condizione fondamentale per il nostro benessere psicologico e spirituale. Quando siamo costretti per anni in ruoli che non ci appartengono, che non parlano il linguaggio della nostra interiorità, qualcosa dentro di noi si spegne. È come vivere a metà.
C’è un’idea che mi ha sempre colpito profondamente e a cui credo profondamente: quella che ognuno di noi nasca con un “seme” unico, un talento, una vocazione, una forma particolare con cui la vita vuole esprimersi attraverso di noi. Non sempre si tratta di qualcosa eclatante o “creativo” nel senso comune del termine. A volte è una predisposizione a prendersi cura, a mettere ordine, a costruire, ad ascoltare, a guidare. Ma il punto è che quel qualcosa, se ascoltato, ci dà forza. Ci fa sentire vivi.
In questo senso, il lavoro non è solo un’attività esterna. È un territorio dell’anima. Quando siamo allineati con ciò che siamo chiamati a fare, anche le difficoltà diventano sopportabili, perfino trasformative. L’energia che mettiamo nelle cose non si esaurisce: si rigenera. Al contrario, quando viviamo anni in ruoli che ci spengono, il corpo si ammala, l’umore si abbassa, e spesso si insinua una tristezza sorda, difficile da spiegare.
Questo vale anche per la società nel suo insieme. Una comunità in cui le persone riescono a esprimere i propri talenti è più sana, più creativa, più viva. Le aziende, le scuole, le istituzioni dovrebbero interrogarsi su come creare spazi in cui le persone possano portare se stesse, non solo le loro competenze tecniche. Perché una persona che fa un lavoro che ama contagia gli altri, eleva la qualità delle relazioni, genera valore autentico.
Certo, non sempre è facile seguire questa chiamata. Ci sono ostacoli, paure, condizionamenti... e non sempre si tratta di riuscire ad arrivare a fare un lavoro specifico. Ma il primo passo è riconoscere che questa chiamata esiste. Che non siamo qui per adattarci a tutti i costi, ma per sbocciare. E che se sentiamo un’inquietudine, un’insofferenza verso ciò che facciamo, forse non è un segno di debolezza, ma un segno di vita. Di un’anima che bussa. E prima o poi, vale la pena ascoltarla.
Gianmaria Franchetto